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Il tema della follia e del manicomio torna in Per le antiche scale, pubblicato da Mondadori nel 1972.

Il romanzo raccoglie e lega tra loro storie di manicomio vissute e raccontate da un alter ego dell’autore, il medico Anselmo, responsabile del reparto femminile delle “Agitate”, che i lettori avevano già conosciuto nel Clandestino.

Intorno allo strepitoso racconto del Federale (ricoverato per aver affermato dal palco di un’adunanza che “il Duce non c’è, non esiste, non c’è mai stato”), ovvero il capitolo Negazione e immortalità, Tobino ricostruisce un affresco collettivo delicato e straziante, dove trovano spazio personaggi indimenticabili come la luminosa Suor Fulgenzia, traboccante di sentimento e passione, che di fronte alla bestemmia di un malato finisce preda di una psicosi ossessiva, o la professoressa di matematica precipitata nella schizofrenia, chiusa nei suoi registri come nel castello di un delirio impenetrabile, ma che rimessasi al pianoforte ricorda improvvisamente le musiche suonate vent’anni prima. Oppure il delicato cronico microcefalo Cherubino, innamoratosi dell’infermiera che, unica, si era presa cura di lui, e dopo la pensione la segue tutti i giorni, di lontano, per vederla lavorare nei campi confinanti il manicomio; o il sostituto-portiere Cantarini, umiliato dal duro interrogatorio di un presunto e poi sventato furto; o ancora la Guelfi, cuoca del manicomio.

Il Dott. Anselmo il quale, lavorando a diretto contatto con i suoi pazienti, e instaurando con loro legami umani ed anche affettivi, svela il volto della psichiatria manicomiale moderna nel suo postulato fondamentale: la considerazione del malato mentale come una persona, prima di ogni altra cosa.

Apre le porte di Maggiano, assiste alla trasformazione dei ricoverati coatti in “articolo quattro”, ospiti volontari, coinvolge i degenti nelle attività di socioterapia, gioca tutte le sere a briscola e a scopa al bar degli ammalati “Non medico, non psichiatra, solo un amico, un usuale frequentatore del bar”.

Il Dott. Anselmo, alter ego di Tobino, ossessionato dal voler scoprire che cosa l’enigma della follia, passerà la vita a domandarselo, facendo test, ipotesi, studiando vetrini al microscopio (seguendo le orme del suo leggendario collega, il Dott. Bonaccorsi), ascoltando per ore la “voce astratta” degli schizofrenici, illudendosi di volta in volta di essersi avvicinato alla soluzione, alla verità; “da più di trent’anni il Dott. Anselmo è ogni giorno a tu per tu con la follia, e, così frequentandola, aveva delle volte la sciocca presunzione di conoscerla, individuarla tra mille volti, affermare il dittaggio, delucidarne ogni mossa.” Forse la follia si può soltanto – ed è ciò che ci invita a fare Tobino -, osservarla con rispetto, e considerarla “nella sua silenziosa” e insieme dignitosissima “richiesta d’aiuto, nei suoi geroglifici stellari e nei suoi abissi”, affinché, anche se non si potrà mai e poi mai svelarne l’arcano, almeno non sia più preda “dei creduli pregiudizi ancora oggi dominanti nel negarle ogni valore e ogni significato.” (E. Borgna, A tu per tu con la follia, introduzione a M.Tobino, Opere Scelte)

Quando, nel febbraio 1972, Mondadori pubblica Per le antiche scale, Tobino è in clinica per le conseguenze di un incidente: grande successo di critica, ottime le vendite (già alla fine di novembre si è alla sesta edizione).

Nel settembre 1972 Per le antiche scale vince “per furore di popolo” il premio Campiello a Venezia.

Il successo si riverbera anche all’esterno: nel 1974 il romanzo viene tradotto in spagnolo da Juan Moreno (Por la viejas escalinatas, Barcelona, Plaza y Janés), nel 1977 in giapponese da Ken Chigusa, Tokyo, Hayakawa Literature. Oltre alle traduzioni, il cinema. Il film tratto dall’omonimo romanzo, diretto da Mauro Bolognini, interpretato da Marcello Mastroianni e con musiche di Ennio Morricone, nel 1975, vince il premio speciale della Giuria al Festival di Locarno.

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Tobino segue la serata in televisione, a Maggiano, nelle stesse stanze dove avevano preso corpo le storie narrate nel libro e nel film: “Il Dott. Anselmo abitava in un manicomio. Mangiava alla mensa; aveva una stanza.”

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