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Lo 'spedale de' pazzi

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Lo ‘Spedale per i Pazzi di Fregionaia (nome del luogo appena fuori Lucca, nelle vicinanze dell’odierna frazione di Maggiano) fu istituito dalla Repubblica di Lucca nella seconda metà del Settecento.
Nel 1769 il Senato della Repubblica lucchese formulò al Pontefice Clemente XIV (Lorenzo Ganganelli) una richiesta per ottenere la soppressione del Monastero dei Canonici Lateranensi di Santa Maria di Fregionaia. L’anno seguente fu così deciso di destinare la struttura al ricovero e alla custodia dei folli.
Il 20 aprile 1773, con l’insediamento del personale, fu ufficialmente aperto lo Spedale de’ Pazzi di Fregionaia come dipendenza dallo Spedale cittadino di San Luca della Misericordia e il giorno seguente arrivarono i primi undici malati, provenienti dal Carcere cittadino della Torre.
I primi anni di vita dell’ospedale videro la prevalenza di sistemi custodialistici, mentre a partire dal secondo decennio dell’Ottocento, grazie all’opera di Giovanni Buonaccorsi, fu adottata come terapia riabilitativa l’occupazione manuale dei malati.
Nel corso dell’Ottocento si registrò un progressivo aumento delle ammissioni, correlato con l’annessione di Lucca al Granducato e con il conseguente ricovero di persone provenienti da territori che non avevano fatto parte del Ducato di Lucca. La frequenza delle dimissioni fu insufficiente a frenare l’aumento della popolazione degente, con un conseguente sovraffollamento e progressivi ampliamenti strutturali.
Nel 1913 il Regio manicomio di Fregionaia passò sotto la gestione amministrativa della Provincia di Lucca e vi rimase fino alla riforma sanitaria del 1978, quando entrò a far parte dell’Unità sanitaria locale che avviò la fase terminale dell’Ospedale fino alla chiusura definitiva nel 1999.
Alla promulgazione della legge 180 del 1978 risultava il più antico manicomio italiano.

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La storia del manicomio, anno dopo anno

Stanze con vista sull'umanità

Il percorso Stanze con vista sull’umanità propone una revisione ampliata della mostra prodotta dalla Fondazione nell’anno 2008 presso il Palazzo Ducale di Lucca, evento collaterale al convegno scientifico “Il turbamento e la scrittura”.

Si tratta di un percorso nella storia medico scientifica dell’ospedale psichiatrico di Maggiano ma, ancor più, un percorso nella storia della psichiatria nella sua evoluzione da un approccio organicistico, “nelle quali la conoscenza è legata alla freddezza emozionale e alla neutralità affettiva” e dove le osservazioni sono “indirizzate non a un soggetto ma a un oggetto” a un nuovo indirizzo fenomenologico che ha come oggetto non solo il cervello ma “l’interiorità, la vita interiore, la soggettività dei pazienti”.

Un percorso che l’Ospedale psichiatrico di Maggiano ha vissuto in un progressivo divenire da “prigione di matti”, il cui compito principale era la contenzione e l’allontanamento degli stessi dal “mondo dei sani”, a luogo di terapia dove il malato poteva coltivare le proprie capacità residue e nel quale i medici si mettevano in relazione con i pazienti nel tentativo di cogliere l’immagine autentica e dolorosa della follia. Un’immagine tanto potente da divenire per Mario Tobino sorgente viva dei suoi libri che, ben lontani dall’essere manuali di psichiatria, divengono, di fatto, “una splendida e straziante testimonianza di cosa sia la follia nelle sue radici fenomenologiche e antropologiche”.

Il percorso si articola in tre ambienti che accompagnano il visitatore in un itinerario emotivo che partendo dalla profonda disperazione attraverso l’umanizzazione del malato psichiatrico giunge alla liberazione nella poesia.
Le prime due sale propongono gli strumenti scientifici, una selezione dei numerosi strumenti che compongono la collezione dell’ospedale psichiatrico di Maggiano tra cui l’elettroshock, le camice di contenzione, il guanto volumetrico di Patrizi, la scodella di pane e il campione di alghe, strumenti chirurgici e strumenti del laboratorio analisi. Gli oggetti emergono nel profondo buio di un’inquietante atmosfera che sconvolge tutti i sensi. Le scelte espositive (senza didascalie o pannelli didattici e l’opprimente colore viola di pareti e soffitto) vogliono facilitare una fruizione interiore senza alcuna concessione alla violenza dello spettacolo del male. L’intento non è quello di sconvolgere il visitatore suscitando reazioni tanto forti quanto momentanee, ma piuttosto di produrre in lui quello spaesamento e quel malessere emotivo che inducono alla riflessione.

La terza sala propone una lettura parallela dell’ospedale psichiatrico di Maggiano, un ospedale che ha aperto le porte a un approccio diverso alla terapia in un tentativo di entrare in relazione con il malato che diviene uomo con diritti, desideri, capacità manuali e creatività. Qui trovano spazio gli oggetti di una quotidianità più umana: le foto, le urne per le votazioni, le chiavi, le pitture e i lavori manuali prodotti dai malati nei vari laboratori istituiti dalla metà degli anni ’60. Il buio si è rischiarato: ancora non si vede la luce ma si intravede. Ancora i malati sono malati ma sono soprattutto sono uomini e donne e le loro ombre rimangono nelle loro opere.

Al termine del percorso il visitatore è accompagnato all’interno delle stanzette di Mario Tobino in quanto in esse c’è la realtà, la vita di Mario Tobino: uomo, scrittore, psichiatra.

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Gli strumenti medici

Gli strumenti medici e scientifici, che coprono grossomodo l’arco temporale corrispondente alla vita dell’Ospedale Psichiatrico, raccontano i diversi aspetti delle attività svolte al suo interno e riguardano il personale medico, non solo in ambito strettamente psichiatrico ma anche sanitario in generale, oltre che i pazienti stessi, la cui presenza è avvertita fortemente attraverso gli oggetti di uso quotidiano.

Attraverso l’esame degli strumenti medici e scientifici qui presentati è possibile tracciare una storia degli approcci, degli atteggiamenti e dei trattamenti relativi alla follia e alla sofferenza psichica, nel periodo che ha visto il passaggio dal concetto di malattia mentale come inguaribile e gestita essenzialmente attraverso la contenzione fisica e l’isolamento rispetto alla comunità.

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