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Coronoavirus e salute mentale: note a margine di una pandemia

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di Enrico Marchi- Psichiatra e Psicoterapeuta, Consulente scientifico della Fondazione Mario Tobino

La straordinarietà di questo evento che ci sta colpendo, unico anche per le sue dinamiche sociali,  ci fa supporre che l’emergenza sanitaria attuale avrà forti ripercussioni sulla salute e sul benessere mentale, a breve e a lungo termine.

In questo momento, sospese le usuali  attività di psichiatra e psicoterapeuta e quelle didattiche, ma sperimentando la modalità on line da remoto sia utilizzando piattaforme web che strumenti personali quali il telefono, mi sono reso direttamente conto che a breve le esigenze assistenziali in questo settore saranno esponenzialmente crescenti. In particolare, partecipando ad una iniziativa di volontariato nella  turnazione di ascolto telefonico in una Help Line, ho avuto modo di parlare a lungo con persone di diversa età e ceto sociale che chiedevano informazioni su come poter fronteggiare sintomatologie psichiche di varia natura ed intensità, rendendomi direttamente conto di come questo bisogno di ascolto sia in aumento.

L’influenza sul nostro stato psichico durante questa quarantena non è certamente di semplice valutazione, dato che  sono in gioco molti fattori che possono compromettere la salute mentale. In primis la paura della malattia, del contagio e delle conseguenze anche mortali sul singolo e sul nucleo familiare . Ma certamente non va sottovalutato il peso delle restrizioni a cui tutti siamo stati sottoposti, la distanza sociale, l’alterazione delle abitudini quotidiane e, non ultimo, le ripercussioni a livello lavorativo ed economico. C’è in tutti forte preoccupazione di perdere parenti, amici, lavoro e abitudini che danno alla nostra vita senso e qualità; il futuro appare incerto, anche in previsione dell’ imminente possibilità di ripresa che ancora però non sappiamo ben immaginare e definire .

Il bombardamento mediatico inoltre, con la  sovrabbondanza di informazioni a volte inaccurate e contraddittorie tra loro, aumenta l’incertezza e la tensione.

Tutti questi fattori di rischio vanno però considerati a seconda delle varie situazioni sociali, familiari e personali, visto che età, condizioni economiche e stato di vulnerabilità preesistente al virus disegnano ipotesi di quadri clinici di diversa entità e qualità . Soggetti che non possono contare su di un supporto sociale o familiare, che vivono isolati e magari hanno difficoltà dovute all’età, sono ovviamente molto piu’ esposti di altri, per non parlare di chi ha subito perdite affettive per la scomparsa di un congiunto.

“L’impatto sui servizi di salute mentale lucchese – ci spiega la Dssa Adalgisa Soriani, Psichiatra Responsabile dei Servizi Psichiatrici di Lucca – ci ha visto sino ad oggi molto impegnati nel poter garantire alla popolazione una risposta adeguata in regime di sicurezza. Per questi motivi abbiamo dovuto mettere a punto procedure operative inedite e fornire a tutti gli operatori in turno H24 le adeguate misure preventive.

Non senza difficoltà iniziali siamo poi riusciti con molto impegno a garantire accesso diretto sia al Centro di salute Mentale che al Servizio Psichiatrico diagnosi e Cura del S.Luca attraverso un sistema-filtro ben preciso, ovviamente privilegiando la sintomatologia in acuto a controlli specialistici di routine, svolti prevalentemente attraverso costante monitoraggio telefonico e in videochiamata.

Tutte le tipologie di operatori sono state quindi organizzate per dare il loro contributo, compreso lo smart working da remoto, anche se i medici psichiatri e gli infermieri sono di fatto quelli piu’ presenti <<sul campo>> per coprire i turni h24. Sul piano prettamente clinico, abbiamo inizialmente apprezzato un grosso calo numerico dei ricoveri, vista l’emergenza sanitaria e il rallentamento generale dovuto anche alla grande paura del contagio, anche se ora cominciamo a registrare una crescente richiesta di aiuto, sia da parte di nuovi casi, che da parte di soggetti già  in terapia che presentano ricadute. Manteniamo costanti rapporti anche con i familiari dei soggetti piu’ gravi e con gli operatori delle strutture di riabilitazione, visto il carico diretto con i soggetti cronicizzati che, nel quotidiano regime di assistenza e cura, necessitano di un forte impegno umano e professionale”.

Come evidenziato da Camilla De Fazio in un articolo di Quotidiano Sanità dello scorso 18 Aprile scorso, fino ad oggi (27 Aprile 2020), abbiamo purtroppo osservato quale è stato l’impatto sulla salute fisica di questa pandemia, ma ancora non abbiamo ancora molti dati certi su quelle che saranno le conseguenze sull’equilibrio psichico della popolazione.

Riguardo alle ripercussioni sulla salute psichica possiamo comunque analizzare i dati provenienti sia dalle pregresse esperienze, che dalle attuali in Cina che, prima di tutti, ha sperimentato la diffusione del virus e le misure di contenimento:
Da un sondaggio
, condotto nel Paese asiatico, a cui hanno risposto 1.210 persone, sono emersi dei tassi di ansia e depressione piuttosto elevati (rispettivamente del 30 e del 17%), inoltre quasi il 35% di 50.000 persone, intervistate nell’ambito di un’inchiesta condotta a livello nazionale, ha riferito sintomi di sofferenza correlati a trauma.

A lungo termine, potremo avere diverse conseguenze, come già documentato dagli studi cinesi da poco pubblicati.

In particolare, i pazienti positivi al Covid riportano elevati livelli di sintomi dello spettro post-traumatico a cui si associano problemi di insonnia. Inoltre, l’aver vissuto una patologia grave, potenzialmente mortale e altamente contagiosa si associa anche a sentimenti di colpa e di auto-stigmatizzazione, che possono causare una depressione del tono dell’umore.
Gli autori di un articolo recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet ricordano come, l’epidemia di Sars del 2003 è stata associata ad un aumento del suicidio del 30% nelle persone di età pari o superiore ai 65 anni. Circa il 50% dei pazienti guariti dalla polmonite ha continuato a soffrire d’ansia e il 29% degli operatori sanitari coinvolti nell’emergenza ha sperimentato disagio emotivo.

Anche l’Italia, primo Paese in Europa profondamente colpito dall’epidemia, è stato condotto un primo studio, e altri sono in corso. La ricerca pubblicata sulla rivista MedRxiv il 14 aprile scorso, è stata condotta dall’Università dell’Aquila, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata. I ricercatori hanno proposto un questionario Online a cui, in poco più di una settimana, hanno risposto oltre 18.000 persone. “I risultati ottenuti sono interessanti, nonostante i limiti che impone uno studio basato su un questionario online, e sono quelli che ci aspettavamo: osserviamo elevati tassi di prevalenza di alcuni disturbi, come ansia depressione e insonnia”, ha spiegato il dottor Rodolfo Rossi, ricercatore all’Università Tor Vergata e primo autore dello studio.

Di certo le persone che erano affette da disturbi mentali prima della crisi rischiano un peggioramento delle proprie condizioni: “…quando ci sono due fattori di rischio, in questo caso disturbo mentale pregresso a cui si aggiunge l’isolamento, questi possono sommarsi o moltiplicarsi”.
Un aspetto importante che i ricercatori analizzeranno è il rischio di comportamenti autolesionisti e di suicidio, così come l’abuso di alcol e droghe, l’uso disfunzionale di Internet, e lo sviluppo della sintomatologia ossessivo-compulsiva.
Verrà poi pubblicato a breve uno studio “gemello”, condotto su 2.500 operatori sanitari. “I risultati in questo caso sono molto più preoccupanti”, ha anticipato Rossi.
Lo studio viene condotto dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e molte Università italiane, tra cui quella di Pisa.

E proprio da Pisa ci arrivano notizie dalla Dssa Claudia Carmassi, Psichiatra lucchese Ricercatore in Psichiatria presso la Clinica Psichiatrica diretta dalla Prof.ssa Liliana dell’Osso, in prima linea da molti anni nella ricerca e cura del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).

Claudia Carmassi è tutti i giorni a contatto diretto con i pazienti, occupandosi anche della direzione dell’ambulatorio e Day hospital , che ovviamente è aperto ai pazienti solo per le urgenze e svolge controlli periodici e primi contatti, attraverso un servizio di telemedicina da remoto.

La collega si occupa attualmente di ricerche che riguardano le attuali problematiche legate alla pandemia ed è  responsabile di un  progetto multicentrici  di ricerca con sedi universitarie della  Lombardia e dell’Emilia Romagna: “Prevediamo, vista l’evoluzione clinica del PTSD, molte richieste di ricovero e controlli specialistici nelle prossime settimane e mesi. In particolare stiamo lavorando con altre sedi universitarie su indagini che riguardano il personale sanitario, categoria fortemente a rischio di PTSD già in un normale ritmo operativo, a maggior ragione in questo periodo in cui molti operatori rischiano quotidianamente la vita per assistere i pazienti”.

“Quello che c’è da notare – aggiunge la Dssa Barbara Carpita, giovane psichiatra lucchese attualmente impegnata in Clinica Psichiatrica a Pisa in un dottorato di ricerca sull’autismo negli adulti – è che purtroppo anche in questo frangente si rischia di sottovalutare il settore  della Salute Mentale. Lo stigma e il pregiudizio, legati da sempre al tema del disturbo psichiatrico, non permettono di intercettare i disturbi  agli esordi o di prevenirli. Sarebbe utile oggi più che mai parlare e  informare maggiormente  la popolazione  sul tema della salute mentale e della psichiatria in modo di facilitare i primi contatti e accessi”.

Questo difficile periodo ci potrebbe infatti  offrire un’opportunità per migliorare  la comprensione attraverso anche  un servizio di prima accoglienza a bassa soglia, anche solo telefonica,  incentrato sulla prevenzione.

C’è da aspettarsi  che passata l’ondata delle restrizioni possano riapparire  degli aspetti di disagio psichico che sono stati gestiti e contenuti, ancorchè a fatica, da molte persone. Ma come può avvenire nel caso di un lutto, i mesi peggiori sono quelli successivi (i danni provocati e le sintomatologie tendono a comparire in modo ancora più grave a distanza di sei mesi dalla cessazione dell’evento traumatico).Nell’avvertire questa necessità di tenere alti il livello di screening e la disponibilità dei servizi di salute mentale, dobbiamo seriamente prendere in considerazione la possibilità di un accesso a bassa soglia per la richiesta di aiuto, in modo di facilitare alla popolazione  l’accesso ad un primo contatto con i servizi. Sarà necessario mantenere una forte attenzione  per le professioni sanitarie che rischiano di sviluppare situazioni di burn out, che senz’altro possono e vanno recuperate; ma non meno importante sarà tenere in considerazione quelle fasce di popolazione a rischio che per età, per i conflitti familiari, per le situazioni più precarie sul piano scocio-economico, che più di altre possono sviluppare un disagio clinico. Per la salute pubblica questo significa mantenere un monitoraggio continuo nei prossimi mesi anche perché la fase di ripresa non sarà certo esente dal rischio di creare tensioni anche nelle relazioni sociali; l’elaborazione del trauma passato andrà di pari passo con quello di una nuova normalità, per cui alle conoscenze scientifiche e all’informazione corretta sarà senz’altro necessario per tutti associare un  saggio buon senso.

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