Il 16 gennaio 1910 Mario Pierippolito (Ippolito nome ereditato dal nonno materno) Tobino nasce a Viareggio. Secondogenito di quattro fratelli: Clotilde (Tilde), Mario, Pietro e Maria Luisa.
I genitori sono entrambi liguri: la madre, Maria Biassoli Ottaviani, originaria di Vezzano, era di famiglia benestante, ricchi proprietari terrieri; mentre il padre, Candido, farmacista, originario di Tellaro, un piccolo borgo di pescatori. Sarà la professione di farmacista intrapresa dal padre a determinare il definitivo trasferimento della famiglia a Viareggio. Proprio lì Mario trascorre la sua infanzia nel “piazzone”, un vasto spazio erboso, circondato da platani, di fronte la farmacia paterna, dove giocherà con i figli degli artigiani e dei pescatori della zona: “ci si picchiava, si dicevano le parolacce”. I suoi compagni dai nomi estremamente pittoreschi: “Ganzù, Truppino, Adriatico, Tanacca, Tono: erano loro i miei grandi amici con i quali, se un altro destino non fosse intercorso, forse sarei stato felice tutta la vita, e forse non avrei neppure scritto, dato che vivere in quel modo era la completa poesia”.
A forgiare il suo carattere hanno sicuramente influito le sue origini. L’estrazione popolana della Viareggio del padre e quella, invece, aristocratica della famiglia della madre si fondono per modellare una nuova creatura. Il giovane Mario attinge la forza, la volontà e il rigore dalla figura paterna e la gentilezza, la sottigliezza e l’intelletto da quella materna.
Nel 1931, al termine di una stagione scolastica turbolenta, si iscrive alla Facoltà di Medicina di Pisa: “Avrei voluto iscrivermi a Lettere, ma mio padre mi disse: se vuoi essere un uomo libero fai il medico. Tanto feci”
In questo periodo inizia anche a scrivere racconti e poesie. Prosegue gli studi universitari a Bologna, dove ha come compagni di corso Mario Pasi e Aldo Cucchi. Si laurea nel 1936 e dal 1° Gennaio 1939 presta servizio presso l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Ancona, dove entra a contatto direttamente con la vita del manicomio e con i malati di mente, un rapporto che lo accompagnerà per tutta la vita. E lì prenderanno vita le pagine del Figlio del farmacista scritte sul tavolo della stanza dell’Ospedale.
Nel giugno del 1940 è in Libia, dove resta fino all’ottobre del 1941, come medico al seguito delle truppe impegnate nella guerra in Africa. Questa esperienza confluirà nel libro Il deserto della Libia, pubblicato nel 1952, da cui sono stati tratti due film, Scemo di guerra (1985) di Dino Risi e Le rose del deserto (2006) di Mario Monicelli.
Il 9 luglio 1942 inizia la lunga esperienza di Maggiano, come psichiatra della divisione femminile presso l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Lucca, al quale resterà legato per più di quaranta anni. Nel corso dello stesso anno conosce a una cena letteraria Paola Olivetti, sarà la compagna di tutta la vita.
Dalla primavera all’autunno del 1944 partecipa alla guerra di liberazione nazionale come partigiano, un’esperienza che lo segna parecchio come uomo e come scrittore e che sarà al centro del Clandestino, pubblicato nel 1962, con il quale vincerà la XVI edizione del «Premio Strega».
Nel 1953 con Vallecchi pubblica Le Libere donne di Magliano, il libro che lo consacra tra i più importanti e letti scrittori italiani e marca un inizio: dialogo tra mondo della follia e mondo dei sani in un clima culturale e psichiatrico già in fermento.
Il 23 maggio 1957 arriva il primo riconoscimento letterario. Con La brace dei Biassoli vince il premio internazionale Veillon di Losanna. Gli scrive Ennio Flaiano: “Fellini ne è entusiasta. Insomma, se questo può farle piacere, siamo in molti qui a Roma ad ammirare la sua opera e ad augurarle un degno successo e riconoscimento”.
Nel 1961 inizia a collaborare con il «Corriere della Sera», un lungo rapporto che durerà fino al 1985.
Mondadori nel 1966 pubblica Sulla spiaggia e di là dal molo dedicato alla storia di Viareggio. E’ una confessione d’amore per la propria città.
Il 1972 è l’anno del «Premio Campiello», vinto con Per le antiche scale.
La fine degli anni ’70 vedono Tobino impegnato nella lotta contro gli effetti negativi della legge n. 180, nota come legge Basaglia. Ma i suoi appelli rimangono inascoltati. Non smetterà mai di dolersi per la sorte toccata ai malati di mente, a suo giudizio abbandonati da chi aveva il compito di proteggerli.
Nell’aprile 1978 Tobino si lancia in una difesa incondizionata dell’istituzione manicomiale con un articolo su La Nazione: “Lasciateli in pace, è la loro casa”, dove polemizza contro la nuova proposta di legge, avanzata dallo psichiatra Franco Basaglia, che, su ispirazione del movimento dell’Antipsichiatria inglese, vorrebbe ottenere lo smantellamento progressivo ma inesorabile dei manicomi. Il suo appello rimase inascoltato.
Nel febbraio del 1980 si chiude l’esperienza di Tobino come medico di manicomio a Maggiano, anche se gli viene concesso di continuare ad usare le stanze nelle quali ha trascorso buona parte della sua vita di medico e di scrittore. “E allora, cari amici, addio. Abbiamo passato insieme più di quaranta anni. In questi ultimi tempi – nel fumo della moda – non vi ho saputo né proteggere né vendicare. Ero rimasto solo. E da solo non ne avevo la forza.” Mario Tobino, Gli ultimi giorni di Magliano, Mondadori, 1982
Negli ultimi anni della sua vita non interrompe l’attività letteraria, nel 1982 esce Gli ultimi giorni di Magliano, nel 1984 La ladra e nel 1988 Tre amici. Nel 1990 esce l’ultimo libro edito da Mondadori Il manicomio di Pechino (4° ed ultimo volume che ha come tema il manicomio e la follia) resoconto in forma diaristica della sua breve esperienza come direttore generale del noscomio tra il ’55 e ’56.
Sono anni ricchi di premi e riconoscimenti, l’ultimo è il «Premio Pirandello», che ritira ad Agrigento il 10 dicembre 1991, il giorno prima della morte.
Mario Tobino riposa nel Cimitero della Misericordia di Viareggio.